DIATTO & VISCOSA
due leggendarie fabbriche torinesi
del Novecento in Borgata Cenisia
di Sergio Donna
Prefazione di Bruno Gambarotta
Illustrazioni di Leonora Camusso
Ël Torèt | Monginevro Cultura, self-publishing, 2013.
L’interessante saggio, fresco di stampa, esce in un momento topico quanto mai d’attualità, in quanto Il fabbricato industriale che in passato ha accolto questi due notissimi brand dell’industria italiana, è in fase di abbattimento (tranne l’ex Palazzina Uffici, opera di Pietro Fenoglio, ed alcune altre porzioni di fabbricati o di muri perimetrali, ritenuti intoccabili dalla Soprintendenza per il loro pregio architettonico) per far spazio a un nuovo complesso residenziale, con annessa piastra commerciale per la medio-grande distribuzione, con annesso parcheggio interrato ed area verde.
Un libro originale e ben illustrato, che ripercorre l’avvincente ultracentenaria storia della Diatto e quella non meno coinvolgente della Viscosa, due fabbriche ancora fermamente presenti nel ricordo dei residenti, che hanno scritto pagine tra le più nobili della storia industriale del Paese.
Un piacevole volume, di scorrevole lettura, documentato da decine di fotografie storiche, che – al tempo stesso – pone l’accento, con un’obiettiva ed imparziale analisi, com’è nello stile dell’Autore, sulle ardue e travagliate decisioni che le pubbliche istituzioni devono spesso adottare allorché si debba trovare il compromesso meno penalizzante tra la necessità improrogabile di alleggerirsi di ormai insostenibili oneri economici per la manutenzione di vaste aree industriali in disuso, e la necessità di tener conto – con equità e concretezza – dei legittimi bisogni di servizi sociali, verde pubblico, e spazi associativi da parte dei cittadini. E senza trascurare la valenza culturale, storica e architettonica, o anche puramente simbolica, delle fabbriche dismesse. Nella soluzione di questi nodi decisionali, diventa allora essenziale un coinvolgimento diretto e a monte delle decisioni comunali, delle Circoscrizioni, enti territoriali di primo grado e a contatto immediato con i residenti, attribuendo loro un prioritario ruolo decisionale e non – come accade ora – un mero parere consultivo e non determinante.
Talora può essere giusto – soprattutto quando il costo della loro manutenzione sia diventato gravoso e insostenibile per la Pubblica Amministrazione – smantellare trutture industriali fatiscenti ed edifici ormai obsoleti, per fare spazio a nuovi e ariosi insediamenti abitativi, aree verdi, fontane, attività del terziario e servizi sociali, ma non quando rappresentino dei modelli pregevoli di architettura d’epoca proto-industriale.
In ogni caso, però, non dovrebbero mai essere cancellati i simboli della storia, che aiutano a mantenerne vivo il ricordo.
Per dirla con le insegnanti Luigia Casati e Giovanna Sorrentino, “quando una fabbrica, con i suoi monumenti-simbolo, viene abbattuta, è come se perdessimo un punto di riferimento per la nostra memoria, un punto di orientamento cardinale che ci lega, nella storia e nella cultura, alle generazioni che ci hanno precedute”».
Sergio Donna
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