Venerdì 3 Febbraio 2017, ore 16.00
Un dòp-mesdì co’ ‘j baraba
Un pomeriggio con Milo Julini, scrittore. Canzoni in tema di G. Novajra.

nella nuova Sede del Circolo Beni Demaniali, presso il Circolo Familiare Campidoglio
Via privata Murroni 11, Borgata Campidoglio (Torino).
La nuova Sede è raggiungibile con i seguenti mezzi pubblici:
Tram 13, Via Fabrizi, fermate 446 e 444; Bus 2 e 22 Corso Lecce, fermata 112.

 

A cura di Monginevro Cultura, in collaborazione con il Circolo Beni Demaniali

Un dòp-mesì co’ ‘j baraba.

La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Appuntamento di spicco per tutti gli amanti del “noir”, con Milo Julini, scrittore torinese, sul tema dei “barabba”, i giovani malavitosi della Torino della seconda metà dell’Ottocento che con atti di violenta arroganza terrorizzavano la popolazione.

Julini c’intratterrà sul tema di questa piaga criminale che angustiava i torinesi di oltre un secolo fa, ricordando molti episodi di cronaca nera, spesso crudi e violenti, ma reali, che nello stile intrigante della scrittura dell’autore sapranno catalizzare l’attenzione del pubblico.

Il pomeriggio è organizzato da Monginevro Cultura, di cui lo scrittore è membro e consigliere, in collaborazione con il Circolo dei Beni Culturali.

Lo chansonnier Beppe Novajra proporrà alcuni brani musicali sul tema dei “barabba”, alternando le sue canzoni agli interventi parlati di Julini.

Riportiamo qui di seguito un articolo dell’autore che rievoca un episodio di delinquenza che negli anni Settanta dell’Ottocento diede origine a estesi echi di cronaca.

8 ottobre 1877: mortale ferimento di Giuseppe Barbero, Guardia di Pubblica Sicurezza «vittima del dovere»

“Già più volte abbiamo dovuto occuparci di una peculiare declinazione della malavita torinese: i barabba.

Quello dei barabba è un fenomeno di devianza dei giovani operai, tipico della Torino della seconda metà dell’Ottocento e dei primi del Novecento.

Barabba è il ribelle e/o assassino ebreo che, secondo i Vangeli, Ponzio Pilato ha liberato al posto di Gesù. Domenica 6 febbraio 1853 a Milano vi è un tentativo di insurrezione mazziniano con la partecipazione di un migliaio tra artigiani e operai di ideologia vagamente socialista: la Polizia austriaca lo definisce il «tumulto dei barabba».

Dopo la proclamazione del regno d’Italia, a Torino si è adottato questo termine di derivazione milanese per indicare quegli operai, di solito giovani o giovanissimi, che mostrano una scarsa assiduità al lavoro che inizia con la «lunediana», cioè l’assenza dal lavoro al lunedì.

I barabba non sono malavitosi abituali perché, sia pure in modo discontinuo, lavorano ma preferiscono ubriacarsi, attaccare briga, assumere atteggiamento provocatorio nei confronti di pacifici torinesi, compiere atti di teppismo gratuito. Dimostrano per tutte queste attività un impegno molto maggiore di quello profuso nel lavoro.

Vediamo ora dei barabba che uccidono per puro odio nei confronti di chi porta una uniforme: i barabba usano volentieri il coltello, anche per crudeli bravate, come questa che costa la vita ad un poliziotto.

Lo racconta la “Gazzetta Piemontese” del 9 ottobre 1877, sotto il titolo “Rissa e ferimento grave di una guardia di P. S.”: «Oh! I barabba! La triste genia!

Le Guardie di PS Caniggia Giovanni e Barbero Giuseppe la scorsa notte essendo di pattuglia per via Dora Grossa, incontrarono allo sbocco di piazza Castello un individuo che minacciava di voler percuotere la propria moglie trovata in intimo colloquio con uno sconosciuto d’età inoltrata.

Le guardie s’interposero per non lasciar succedere dei guai; nel mentre due barabba, fingendo di prendere le difese della donna, fecero atto di slanciarsi sul marito.

Una delle guardie, Barbero, intervenne nuovamente e mentre tratteneva uno dei barabba perché non percuotesse il disgraziato marito, il compagno di quello assalì l’agente e gli diede un colpo di stile al fianco sinistro.

Il ferito fece ancora pochi passi, poi cadde sul suolo quasi privo di sensi.

L’altra guardia inseguì finché poté i barabba ma pensando che il compagno poteva versare in pericolo di vita tornò indietro e diede i primi soccorsi al coraggioso camerata.

Intanto il feritore è fuggito e la guardia è in gravissime condizioni all’ospedale.

E tutto ciò nel centro di Torino! è cosa che addolora davvero!».

Il giorno seguente, il giornale dà la notizia della morte di Giuseppe Barbero: «[…] è morto stamane alle 8 ½  all’Ospedale Mauriziano dopo lunga agonia.

Il disgraziato giovane aveva soli 24 anni di età ed era piemontese. apparteneva al mandamento di Gassino».

L’età di Barbero è invece indicata in 26 anni, quando il giornale riporta l’elenco dei morti del 10 ottobre fornito dallo Stato Civile di Torino (“G. P.”, 11 ottobre 1877) ma in ogni caso il fatto appare particolarmente grave e, nell’immediato, le indagini non portano a concreti risultati.

A differenza di quanto accaduto in occasione dell’uccisione della Guardia di P. S. Giuseppe Voglino, avvenuta nel 1869, le istituzioni appaiono presenti e partecipi.

Barbero, in ospedale ha ricevuto la visita del Questore Mazzi e del Prefetto Angelo Bargoni (Cremona, 1829-Roma, 1901), un patriota che è divenuto Deputato e, dal 1876, Senatore.

Il funerale di Barbero, «caduto vittima di mano assassina», si svolge l’11 ottobre, verso le cinque del pomeriggio. Parte dall’Ospedale Mauriziano (l’attuale Galleria Umberto I, in via della Basilica) diretto al Camposanto.

Una squadra di Guardie di P.S. assiste ufficialmente alle esequie e anche la partecipazione cittadina appare sentita: molti torinesi, di tutte le classi sociali, rendono «colla loro presenza, pietoso ossequio alla memoria d’un martire del dovere».

Le indagini però sono infruttuose e il colpevole non viene arrestato, anche se la “Gazzetta Piemontese” del 20 ottobre riporta l’arresto di una donna «di cattiva fama», sospettata di essere complice del feritore di Barbero.

Giuseppe Barbero “cerca ancora Giustizia”, come scrive il sito il Sito NON Istituzionale dedicato ai Caduti della Polizia di Stato Italiana, da cui ho tratto l’idea per questo articolo”.

Milo Julini

Articolo pubblicato su “CIVICO 20 NEWS” il 10 giugno 2016

Milo Julini, giornalista, scrittore, ricercatore e affabulatore di garbata eloquenza, è stato il protagonista di un pomeriggio culturale di magnetico interesse. Parliamo dell’incontro ̶ inserito nel palinsesto dei “Salotti del Venerdì” organizzati dal Circolo Beni Demaniali (questo appuntamento è stato curato da Monginevro Cultura) ̶ avvenuto il primo venerdì del mese febbraio presso la nuova sede dei Beni Demaniali, nell’accogliente Sala delle Feste della storica palazzina del Circolo Familiare Campidoglio (Via Murroni 11 Torino).

Il tema proposto da Julini era quello della “Torino noir”: tema sempre interessante, stimolante, e in grado di polarizzare l’attenzione di un pubblico numeroso e curioso.

Julini ha rievocato alcuni eclatanti fatti di cronaca nera che a suo tempo tennero banco, spesso per molti mesi, sui quotidiani torinesi dalla metà dell’Ottocento agli anni Sessanta dello scorso secolo.

Partendo dai “barabba” (ragazzacci che tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento imperversarono nei quartieri torinesi con azioni violente e soprusi nei confronti di adulti e di coetanei), e attraverso il ricordo di fatti di cronaca nera della prima metà del Novecento, si è giunti fino a ricordare le imprese dell’ultimo bandito popolare novecentesco, Pietro Cavallero, personaggio sinistro e carismatico, a capo dell’omonima spietata banda che, tra il 1963 e 1967, con una serie di 18 rapine sanguinarie, fu capace di lasciare una striscia di 7 morti e di una trentina di feriti, e di mettere a segno un bottino di circa 100 milioni di lire dell’epoca.

Nel corso dell’incontro, strutturato in forma di recital, e dai ritmi vivaci e coinvolgenti, al microfono di Milo Julini, si è alternato lo chansonnier Beppe Novajra (che ha proposto canzoni musicate su testi propri, ma anche di don Bosco e Faà di Bruno , Alberto Viriglio e Sergio Donna). Sergio Donna, dal canto suo, ha declamato alcune sue poesie in tema.

Il tutto è avvenuto con il supporto di proiezioni di fotografie, immagini e documenti d’epoca, nonché dei testi in italiano delle canzoni in piemontese. Sono stati così riportati alla luce fatti di cronaca ormai dimenticati e figure che all’epoca raggiunsero una notorietà straordinaria per aver compiuto azioni criminali in grado di colpire ed emozionare l’opinione pubblica.

Dai processi giudiziari, scaturirono condanne esemplari; ma non mancarono casi che lasciarono deluse le aspettative dei colpevolisti, per la lievità delle pene comminate.

Fu il caso del leggendario ladro torinese Antonio Bruno, detto “Ël cit ëd Vanchija” (che fu reso celebre anche da un noto romanzo della scrittrice vogherese Carolina Invernizio, 1851-1916) o di un tal Omedeo Olivetti, più conosciuto con il nomignolo di “Medeo ‘l fòl”, detto il “profeta”, personaggio pittoresco vissuto un secolo fa nelle valli di Lanzo, le cui imprese – dai risvolti spesso boccacceschi – riempirono le cronache giudiziare dei quotidiani e calamitarono la morbosa attenzione dei torinesi.

Julini ha inoltre rievocato la figura del Commissario Montesano: il cantautore Beppe Novajra ha eseguito una sua canzone dedicata a questo personaggio che ebbe un ruolo fondamentale nella lotta alla criminalità torinese tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. In sala era presente la vedova, signora Montesano, che ha ascoltato il brano con commozione.

(Torino, 3 Febbario 2017 | Ufficio Stampa Monginevro Cultura)

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